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Quando un ippopotamo può salvarti

Authored by: Chiara Bonacchi

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Questa statuetta (Museo Egizio, Torino, numero di inventario Cat.526, 40 x 17 x 21.5 cm), intagliata nel legno e dipinta a colori vivaci, raffigura una divinità femminile chiamata Taweret (“La grande” in egiziano antico) ed è databile al Nuovo Regno, probabilmente alla diciannovesima dinastia (1292-1190 a.C.).

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Parahotep, citato insieme a due suoi figli Pay e Ipuy nell’iscrizione posta sulla base, aveva il titolo di “scriba dei contorni”, o scriba disegnatore, viveva nel villaggio di Deir el-Medina (presso l’attuale Luxor, Riva Occidentale) ed era membro di una nota famiglia di artisti all’interno della quale questa professione, considerata abbastanza prestigiosa, fu tramandata di generazione in generazione, fino al nipote di Parahotep, Amenemope. A differenza di un suo fratello, anch’egli scriba disegnatore, che conosciamo da molteplici oggetti oggi sparsi nelle collezioni di vari musei europei, il nome di Parahot
ep si è conservato solo su pochi reperti, fra i quali uno stipite iscritto proveniente da una delle porte della sua abitazione nel villaggio di Deir el-Medina, e questa statuetta molto particolare.

La dea Taweret è qui raffigurata con le sembianze di un ippopotamo femmina gravido in piedi sulle zampe posteriori, quelle anteriori terminanti con artigli leonini, una parrucca tripartita sul capo e la coda di un coccodrillo sul dorso. Le fauci leggermente aperte contribuiscono ad accrescere il senso di potenza e pericolosità di questa divinità che era in realtà preposta alla protezione delle partorienti e dei nascituri. Sia Taweret, che il dio Bes, dalle fattezze grottesche, erano oggetto di un culto popolare che si esprimeva in rituali realizzati per mezzo di statuette, stele di piccole dimensioni o amuleti all’interno delle abitazioni.

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Paolo Del Vesco

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